PIANTE TINTORIE E LE LORO PROPRIETA’ ANTI CANCEROGENE
Autore: Paolo Pelini
Introduzione
La
chemioterapia, o l'uso di agenti chimici per distruggere le cellule
tumorali,
è un passaggio nodale nel trattamento dei tumori maligni. Il
maggior
vantaggio della chemioterapia è la possibilità di trattare tumori
molto
estesi e le metastasi tumorali, laddove la chirurgia e la
radioterapia
consentono
di trattare principalmente tumori che sono confinati in aree
specifiche.
Pertanto
la chemioterapia è in continua ricerca di molecole dotate del
livello
massimo di potenza e selettività di azione.
I
chemioterapici che hanno come effetto terapeutico la distruzione di
una
popolazione
cellulare avranno tanto maggiori probabilità di successo
quanto
maggiori sono le differenze biologiche esistenti tra le cellule
bersaglio
e le cellule dell’organismo ospite.
Queste
differenze, che sono minime tra la popolazione cellulare
neoplastica
rispetto a quella dell’organismo da cui essa si è originata,
rendono
ragione del fatto che un agente antitumorale, raramente potrà, da
solo,
eliminare tutte le cellule cancerose senza dare effetti tossici
collaterali
per il paziente.
La
chemioterapia antitumorale è infatti fortemente limitata dalla sua
tossicità,
cioè da un indice terapeutico molto ristretto. Tuttavia, enormi
progressi
sono stati fatti anche in questo campo, grazie allo studio dei
fattori
che interagiscono tra loro nel corso di una malattia neoplastica,
come
la natura del paziente e i cambiamenti del suo stato metabolico,
endocrino,
immunologico, la neoplasia e la sua peculiare biologia ed
infine
il meccanismo d’azione dei farmaci antitumorali.
Comprendere
il ciclo riproduttivo della cellula normale e il
comportamento
di cellule maligne o cancerose è quindi necessario per
comprendere
come la chemioterapia possa distruggerle.
Di
seguito è riportato un esempio del ciclo riproduttivo della cellula
eucariota
dove è possibile distinguere cinque fasi:
nella
fase
G0 la
cellula non è impegnata nell’attività riproduttiva e
quindi
svolge la sua normale funzione all’interno dell’organismo.
nella
fase
G1 la
cellula inizia la sintesi delle proteine e dell’RNA
necessari
per la duplicazione dei cromosomi.
nella
fase
S la
cellula duplica i cromosomi.
nella
fase
G2 c’è
una nuova fase di sintesi di proteine e di RNA in
cui
la cellula si prepara alla divisione.
nella
fase
M si
ha la divisione cellulare o mitosi.
Figura
1-Schema
delle fasi del ciclo riproduttivo della cellula.
Si distinguono
almeno
quattro fasi, in ognuna delle quali la cellula si prepara per una
successiva
mitosi.
Errori in questo processo possono compromettere la vitalità
cellulare e
per
tale motivo esistono dei punti di controllo (checkpoints),
localizzati a livello
delle
transizioni G1/S e G2/M. L’omeostasi tissutale viene controllata da
numerosi
geni, i quali codificano proteine che fungono o da regolatori
positivi o
da
regolatori negativi del ciclo cellulare. Mutazioni a carico di tali
geni possono
portare
ad alterazioni del ciclo cellulare e quindi a proliferazione
incontrollata.
Fisiologicamente,
l’omeostasi tessutale è garantita da un continuo
equilibrio
tra cellule proliferanti e cellule in necrosi in modo tale che la
densità
cellulare sia sempre costante. Non tutte le cellule sono nello stesso
ciclo
replicativo: alcune sono in fase
G0,
sono cioè quiescenti perché non
si
replicano per un periodo di tempo indeterminato ma possono in
qualsiasi
momento rientrare in azione, mentre altre, una volta
differenziatesi,
perdono definitivamente la capacità proliferativa. Queste
ultime
sono escluse dal target terapeutico dei farmaci citotossici ma ciò
non
significa che lo siano anche per quanto riguarda gli effetti tossici
(es:
le
antracicline
possono
danneggiare irreversibilmente i miocardiociti)2,3,20.
La
maggior parte dei farmaci chemioterapici attualmente disponibili
distruggono
le cellule del cancro bloccando, per diverse vie, la sintesi del
DNA
o alterando altre funzioni del ciclo cellulare.
Il
tumore, che è un processo multifasico1,
si sviluppa di solito nel corso di
diversi
anni, durante i quali si verificano alterazioni geniche multiple.
Nella
maggior parte dei casi si tratta di mutazioni somatiche
(traslocazioni
cromosomiche,
inversioni,
amplificazioni
o
mutazioni
puntiformi),
alcune
delle
quali sono ritenute responsabili dell’ attivazione di oncogeni,
effettori
della trasformazione neoplastica, mentre altre sono considerate
promotrici
della perdita funzionale dei geni oncosoppressori, regolatori
negativi
della crescita.
Tre
tipi di geni principali controllano la proliferazione cellulare:
Protoncogeni:
geni coinvolti nella stimolazione, crescita e
proliferazione
cellulare. Mutazioni a carico di questi geni comporta un
processo
di attivazione (oncogène)
che a sua volta provoca un aumento di
tali
funzioni e quindi dei processi di trasformazione ed invasività. Gli
oncogeni
hanno funzione dominante: una sola copia genica mutata è
sufficiente
a produrre il cancro per acquisizione di funzione (“gain
of
function”).
GENE
FUNZIONE TUMORI ASSOCIATI
Catena
β
del
PDGF fattore
di crescita Osteosarcomi
Int2
fattore
di crescita dei
fibroblasti
carcinoma
vescica e mammella
Erb1
recettore
per EGF carcinoma polmone
Erb2
recettore
per EGF carcinoma ovaio, stomaco,
mammella,
polmone
Ret
recettore
per GDNF carcinoma papillifero, tiroide,
MEN2A/B,
midollare tiroideo
familiare
Fms
recettore
per CSF-1 leucemie
Ras
GTP-binding
protein
trasduttrice
del segnale
carcinoma
colon, pancreas,
vescica,
tiroide
c-myc,
N-myc, L-myc fattori
trascrizionali linfomi, Neuroblastoma,
carcinoma
polmone
Cicline
D (PRAD-1,
bcl-1)
proteine
del ciclo
cellulare
Adenoma
paratiroideo, linfomi,
carcinoma
fegato, mammella
L’oncogène
è quindi una versione modificata di un gene cellulare che
acquisisce
funzione dominante nel promuovere la proliferazione cellulare.
Figura
2- Trasduzione
del segnale, ossia catena di reazioni che trasmette segnali
(soprattutto
idrofilici) dalla superficie cellulare verso bersagli intracellulari
di
vario
tipo, al fine di controllare la trascrizione di determinate proteine
e/o la
crescita
cellulare.
Qualsiasi danno a carico dei geni codificanti tali
proteine
potrebbe
essere causa di un processo carcinogenico.
Oncosoppressori:
sono
geni aventi un ruolo di controllo negativo
della
proliferazione cellulare, al fine di prevenire eventi di crescita
cellulare
abnorme. Normalmente questi geni inibiscono la crescita
cellulare.
Gli oncosoppressori sono recessivi a livello cellulare. Entrambe
le
copie geniche devono essere alterate perchè si sviluppi il tumore
(“loss
of
function”).
Infatti, la maggior parte dei tumori ereditari sono dovuti
all’ereditarietà
di un gene oncosoppressore mutato (first
hit)
e
l’ereditarietà
della predisposizione a sviluppare il cancro è dominante
(50%
di rischio da un genitore portatore). E’ però necessario un
secondo
colpo
(second
hit)
per lo sviluppo del tumore, pertanto il gene agisce in
modo
recessivo a livello cellulare.
Geni
oncosoppressori:
NF-1
inibizione
di Ras Shwannomi Neurofibromatosi1
APC
inibizione
del
segnale
fitogenico
carcinoma
stomaco,
colon,
pancreas
Polipomatosi
familiare
del colon,
carcinoma
colon
WT-1
fattore
trascrizionale Nefroblastomi tumore di Wilms
Rb
regolazione
del ciclo
cellulare
Retinoblastoma,
Osteosarcoma,
carcinoma
mammella,
colon,
polmone
Retinoblastoma,
Osteosarcoma
P16
inibizione
delle
CDKs
carcinoma
esofago,
pancreas
Melanoma
familiare
P53
risposta
al danno al
DNA
nei
tumori maligni
avanzati
Sindrome
Li-
Fraumeni
Geni
coinvolti nel “DNA
repair”:
Sono geni aventi un ruolo nel
riparare
eventuali mutazioni o alterazioni del DNA dovute sia a fattori
endogeni
(es: disfunzioni enzimatiche) che esogeni (es: raggi UV).
Mutazioni
a carico di questi geni possono portare ad eventi di “missrepair”
e
quindi ad un accumulo di mutazioni potenzialmente
cancerogene.
GENE
FUNZIONE TUMORI
ASSOCIATI
A
MUTAZIONI
SOMATICHE
TUMORI
ASSOCIATI
A
MUTAZIONI
EREDITARIE
BRCA-1
BRCA-2
riparo
del DNA carcinoma
mammella,
ovaio
carcinoma
mammella,
ovaio
MSH
MLH
riparo
del DNA
miss
match
carcinoma
colon carcinoma colon non
polipomatoso
La
carcinogenesi, che è un processo multi-fattoriale, riconosce diverse
fasi
con
eventi genetici multipli (mutazioni)
che si verificano in un lungo arco
temporale
(almeno 10 anni nella maggior parte dei casi). Alla base della
carcinogenesi21
c’è
quindi un danno genetico non letale, provocato dall’
azione
di numerosi fattori, i quali possono essere divisi in:
Estrinseci:
fattori
ambientali (onco-virus,
radiazioni, prodotti
chimici,
dieta, etc.)
Intrinseci:
fattori
genetici o fisiologici (stato immunitario,
equilibrio
endocrino, etc.)
L’ipotesi
genetica del cancro parte dal presupposto che una massa
tumorale
sia il risultato dell’ espansione clonale di una singola cellula
che,
a
seguito di una o più mutazioni e del fallimento dei meccanismi di
regolazione
atti a mantenere l’omeostasi del numero delle cellule
dell’organismo,
va incontro a proliferazione incontrollata illimitata, che
rimane
localizzata, nel caso di tumore benigno, mentre va incontro a
metastatizzazione
o disseminazione di cellule neoplastiche, nel caso di
tumore
maligno o cancro.
Esistono
almeno tre fasi nel processo di carcinogenesi:
Iniziazione,
che consiste nell’acquisizione di una mutazione nel
DNA
di una cellula normale (modifica irreversibile), che le conferisce
capacità
di crescita individuali. L’agente iniziante può essere un
carcinogeno
ambientale o un difetto geneticamente trasmesso.
Promozione/Conversione,
in cui uno specifico agente
(promotore)
aumenta le capacità proliferative della cellula iniziata. I
promotori
spesso interagiscono con il DNA ed aumentano le capacita’ di
espressione
del DNA mutato. Il clone di cellule prende la forma di un
tumore
benigno (fisicamente coeso).
Progressione,
consiste nella transizione della cellula iniziata verso
la
malignità. Le cellule singole possono distaccarsi ed iniziare nuovi
cloni
che
crescono a distanza (metastasi)
avvalendosi di un processo di
angiogenesi.
La
carcinogenesi è quindi causata da mutazioni del materiale genetico
di
cellule
normali, e ciò altera l’equilibrio tra proliferazione e morte
cellulare.
Questo dà luogo a una divisione cellulare incontrollata ed alla
formazione
del tumore.
Lo
scopo della chemioterapia è proprio quello di bloccare la
proliferazione
neoplastica,
uccidendo il maggior numero possibile di cellule tumorali
proliferanti
e non, requisito fondamentale per ottenere miglioramenti
clinici
evidenti.
Quindi
è chiaro che l’obiettivo principale è quello di modificare la
curva
di
crescita delle cellule tumorali in modo da ottenerne una regressione.
La
velocità di crescita dei tumori in
vivo è
all’inizio rapida, ma quando il
tumore
aumenta di dimensioni, esso rallenta a causa della inadeguatezza
della
vascolarizzazione, che porta le cellule ad una mancanza di nutrienti
e
di
ossigeno. La riduzione della massa tumorale mediante la chirurgia o
la
terapia
radiante aumenta il reclutamento delle cellule che rimangono nella
fase
attiva del ciclo ed aumenta la loro sensibilità ai farmaci
chemioterapici.
Tra
i problemi associati alla chemioterapia vi è quello dovuto al fatto
che
non
è stato ancora possibile scoprire farmaci specifici per le cellule
tumorali,
essendo queste molto simili da un punto di vista metabolico a
quelle
normali. Il cancro rappresenta dunque un problema di notevole
portata,
e scoprire nuovi bersagli biologici risulta fondamentale per poter
utilizzare
in maniera appropriata l’attuale generazione di agenti neoplastici.
PIANTE
TINTORIE:
Il mondo vegetale
come sempre ci viene in aiuto, infatti molte piante hanno azione anti
cancerogena alcune di queste sono le piante cosi dette tintorie per
la capacità dei loro metaboliti di colorare.
Un esempio e la
Rubia tinctorum L, infatti studi condotti sui due pigmenti di questa
piante Alizarina e Purpuruna
a: Alizarin b.
Purpurin
Hanno dimostrato
che presentano un certo grado di effetti inibitori selettivi verso
le cellule tumorali, Gli effetti di alizarina, purpurina e un
estratto acquoso dalla coltura radicale pelosa trasformata di Rubia
tinctorum L. sono stati esaminati su proliferazione cellulare,
apoptosi, adesione / morfologia cellulare e migrazione
(chemiotassi, chemochinesia ) delle linee cellulari di melanoma
umano e di cellule di fibroblasti umani (MRC-5), nonché l'estratto
acquoso è stato caratterizzato analiticamente.
Anche Lawsonia
inermis L. o più conosciuta come pianta dell’ Hennè possiede
attivita anticancerogena nonostante in passato fu accusata
dell’esatto opposto.
Il fatto che molti
scordano che una sostanza per portare benefici o malefici insomma
per essere cancerogena o anticancerogena o non provocare affatto
danni va saputa dosare, nel senso vero e proprio del termine!
Infatti molte
sostanze per acquisite potere cancerogeno o mutageno non basta che
siano intercalanti (che si leghino al DNA) ma devono essere presi in
una certa dose.
Il Lawsone
metabolita con proprietà coloranti che in realtà non è presente
neanche nella pianta ma si forma a seguito di reazioni secondarie di
ossidazione e acidificazione dei tre preculsori questi si presenti
nella pianta detti hennosidi A,B,C, infatti il Lawsone come ho avuto
modo di dimostrare si forma nella pianta solo a seguito di un
processo di ossidazione da parte di certi batteri che possono
contaminare la pianta o l’estratto (ma questo è un altro
discorso), si è visto che anche il Lawsone possiede attività
anticancerogena portando ad apoptosi le cellule cancerogene.
Lawsone
Anche Indigofera
tinctoria possiede le sue proprietà anticancerogene a seguito della
molecola Indaco che svolge una azione citotossica e
antiproliferativa nel carcinoma alla cervice, carcinoma gastrico e
al colon
Indaco
Su queste e altre
molecole tintorie vanno effettuati studi più approfonditi perché
potrebbero aiutarci molto nella lotta contro il cancro.
Paolo Pelini
Erbochimico
Valutazione
Farmacognostica Piante Medicinali
Roma-Italia